Si corre dietro al pallone per far gol. E, come succede nella vita, si può rischiare anche di subirlo, magari in contropiede. Il calcio, non importa quanto sia grande il rettangolo verde o se si gioca in undici, in otto o in sei, non è mai uguale a se stesso. E per questo conserva il suo fascino. Non è mai scontato, soprattutto quando a scendere in campo sono i pazienti psichiatrici. Per loro, mai come questa volta, l’importante non è vincere ma partecipare, anzi esserci. In mezzo al pubblico a tifare oppure in campo a sgambettare, con indosso le casacche delle dodici squadre dei Centri di Salute Mentale della ASL di Lecce e delle Comunità Terapeutiche che, dal 16 ottobre scorso nel Centro sportivo “Villa Maresca” a Carmiano, si danno appuntamento per un vero e proprio campionato di “calcio a sei”.
Il calcio è confronto, talvolta scontro, qui è semplicemente incontro. Reso possibile dall’iniziativa del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL di Lecce e dall’ACSI provinciale, che hanno coinvolto le squadre dipartimentali del CSM di Campi Salentina, del CSM di Lecce e quelle delle Comunità Terapeutiche del privato sociale: Ambarabà, Casa Amata, Cento Pietre, Città Solidale Latiano, Dimora San Carlo, L’Adelfia, San Giovanni Castello Pio, Sol Levante, Sorgente, Villa Giulia.
Il campionato, giunto alla sua seconda edizione, è iniziato il 16 ottobre scorso e terminerà il 21 dicembre con la fase finale. E sarà un grande momento di festa alla presenza del Direttore del DSM, dr. Serafino De Giorgi, del CSM di Campi Salentina, dott.ssa Paola Calò, del CSM di Lecce, dott.ssa Tiziana De Donatis, del sindaco di Carmiano, dr. Giancarlo Mazzotta, dell’assessore alle Politiche Sociali, avv. Emanuela Bruno, del vicesindaco, dr. Cosimo Petrelli e, naturalmente, con la partecipazione dei responsabili ed operatori delle Comunità Terapeutiche e degli organizzatori: dr.ssa Antonella Alemanno, Francesco Mello e il presidente provinciale dell’ACSI, Cosimo Margarito.
Il campionato è il coronamento di un’attività sportiva che si svolge tutto l’anno, attraverso allenamenti settimanali ed incontri di calcio periodici con gruppi esterni al circuito psichiatrico: amministratori, volontari, studenti, giornalisti, rifugiati politici ecc. A maggio, invece, è in programma l’evento clou della stagione: la dodicesima manifestazione “La testa nel pallone 2019”, torneo che coinvolge utenti, centri e comunità italiane e internazionali.
Tornei, partite, allenamenti – spiegano gli organizzatori – hanno una finalità precisa: consolidare il rapporto virtuoso tra sport e riabilitazione, poiché l’attività sportiva ha a che fare con i processi di cura ed efficacia, al pari dei trattamenti tradizionali come i farmaci e le psicoterapie. Insomma, non c’è contrapposizione, ma integrazione e dunque l’alleanza terapeutica si rafforza.
La differenza rispetto all’efficacia e all’applicabilità di un modello medico sperimentato prima in laboratorio e poi in ambulatorio viene invertita: probabilmente – rimarcano gli organizzatori – noi deriviamo la teoria dalla pratica utilizzando i luoghi di vita come luoghi di cura. In questo modo, intercettiamo nel nostro percorso operatori, per così dire, naturali che diventano protagonisti, non tecnici, del nostro progetto. Creiamo quindi dei nuovi scenari che aggirano la solitudine che spesso connota il rapporto operatore/paziente. La vita è un gioco di squadra: spogliarsi degli abiti di un ruolo è il primo gesto, di quella fiducia ritrovata, che mette i compagni di gioco alla pari: il ruolo può essere solo quello di portiere, terzino, centravanti, la responsabilità è di tutti; l’anamnesi è solo calcistica e non importa se si è bravi, si può migliorare, il calcio non ha un inizio e non ha una fine, le partite sono perse solo se perdi la voglia di giocare. E a questi calciatori, giovani e meno giovani, non manca certo la voglia di andare in rete, anche dribblando la malattia mentale.

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