Non è una “fortuna” mangiare e non ingrassare in situazioni di forte stress: uno studio scientifico condotto da ricercatori dell’Università del Salento assieme a colleghi dell’Università di Roma “La Sapienza” e del CNR-IBCN  dimostra infatti che, in questi casi, il maggiore livello di stress ossidativo probabilmente legato alla maggiore produzione di radicali liberi potrebbe causare notevoli danni alla salute rendendo l’organismo più vulnerabile ad agenti patogeni esterni o interni.
Lo studio è stato condotto sotto la responsabilità di Anna Maria Giudetti, Silvana Gaetani, Anna Moles e Roberto Coccurello e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Faseb Journal” col titolo “Chronic psychosocial defeat differently affects lipid metabolism in liver and white adipose tissue and induces hepatic oxidative stress in mice fed a high-fat diet”.
«Abbiamo studiato gli effetti della cosiddetta “sconfitta psicosociale”, ossia un’articolata e composita forma di stress in cui coesistono sfide e allarmi socio-economici con difficoltà e conflitti soggettivi e interpersonali», spiega Anna Maria Giudetti, ricercatrice di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali UniSalento. «Si tratta di un’esperienza condivisa da tanti, che ha tra le conseguenze più evidenti i cambiamenti del peso corporeo, del metabolismo e delle abitudini alimentari. Con questo studio abbiamo chiarito alcuni fondamentali meccanismi fisiopatologici alla base del fenomeno per il quale si può perdere peso pur consumando una maggiore quantità di cibo. Simulando in laboratorio una condizione di sconfitta psicosociale, abbiamo verificato che sotto stress gli individui subordinati ingeriscono più cibi scegliendoli tra i più ricchi di grassi e riducendo, al contempo, il consumo totale di cibo non gratificante, col risultato paradossale di perdere peso».
Come si spiega? «La sconfitta psicosociale comporta una riduzione degli enzimi responsabili della lipogenesi», spiegano gli autori dello studio, «ossia della produzione e dell’accumulo di grasso corporeo, e contemporaneamente un aumento nel fegato di un enzima fondamentale per “bruciare” i grassi. Ancor più sorprendentemente, lo stress psicosociale produce un aumento di particolari proteine contenute nel tessuto adiposo capaci di aumentare le calorie consumate, un meccanismo noto come “termogenesi”. Si sente spesso dire “Posso mangiare quanto voglio, tanto non ingrasso”, ma questo fenomeno è solo apparentemente positivo. Abbiamo infatti verificato che l’aumentato metabolismo dei grassi comporta un maggiore livello di stress ossidativo, probabilmente legato alla maggiore produzione di radicali liberi. Questa condizione metabolica, riscontrata a livello epatico, potrebbe a sua volta causare notevoli danni alla salute, saturando i sistemi endogeni di difesa dallo stress ossidativo e rendendo l’organismo più sensibile ad agenti patogeni esterni o interni».
«I risultati di questo studio ci ricordano», conclude Giudetti, «che una perdita di peso ottenuta in condizioni di forte stress e pressione psicosociale non è consigliabile, e che seguire abitudini alimentari sane è la base fondamentale per il nostro benessere psicofisico».

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